Sono nato a Torino il 31 luglio 1940 dove ho frequentato il Liceo Classico Cavour. Mi sono poi laureato in Economia e Commercio.
Dopo il servizio militare ho deciso che avrei fatto il commercialista, e così è stato.
Ho conosciuto Mario Celso per ragioni professionali un anno prima della trasformazione della IREM in SpA. Fui presentato dal mio amico Maurizio Maggiora, fondatore della società di consulenza aziendale Consulta, che all’epoca forniva servizi alla IREM. In quel momento l’azienda non aveva un commercialista e la cosa mi stupì alquanto: aveva già solide basi commerciali eppure gestiva questo aspetto dell’attività in proprio. Un’azienda ancora a conduzione familiare sia pure già aperta al mercato estero. Nei primi anni Settanta, in azienda, c’era il figlio Franco, con il quale ho collaborato molto bene nelle varie attività che hanno visto la trasformazione dell’azienda sia sul piano commerciale sia su quello dell’immagine verso l’esterno.
Ho sempre considerato Mario Celso una persona speciale, era forse un po’ burbero nell’aspetto ( ricordo di averlo visto sorridere poche volte); tuttavia era capace di grandi affetti, che però dimostrava con qualche fatica per via del suo temperamento. Un ruolo fondamentale nella vita di Mario Celso lo ha senz’altro avuto la moglie, la signora Bruna Bandera.
Il signor Celso era senza dubbio un leader ma sua moglie non era certamente da meno. La signora Bruna aveva in sé tutte le doti che in qualche modo compensavano e completavano la genialità e l’irrequietezza intellettuale di Mario Celso: era certamente lei la persona della famiglia con la quale il confronto era sullo stesso piano. Era una vera signora, sapeva quando intervenire e quando tacere con lui. Lei sempre sorridente ed espansiva, lui un po’ meno e più spesso pensieroso, taciturno, forse timido. La signora Bandera era la vera bilancia della coppia, con i figli era molto autorevole e sapeva farsi rispettare ed amare, credo il loro sia stato un matrimonio molto ben riuscito. Il signor Celso si considerava fortunato da questo punto di vista.
Mario Celso era senza dubbio un uomo forte, di bell’aspetto, a suo modo affascinante e che teneva all’eleganza. Lo definirei una gran persona, nella quale il lato umano certamente superava quello manageriale: era “una pianta bella sana”. Fui spesso impressionato dalla sua ansia per l’aspetto etico delle cose, dell’attività che svolgeva, della sua industria. All’inizio della nostra collaborazione, in quanto commercialista, mi capitava di dire che certi possibili accorgimenti potevano anche portare dei vantaggi fiscali, senza con questo incorrere in sanzioni e men che meno a violare la legge. Lui, di primo acchito, era contrario e spaventato, temeva di non essere corretto. Per lui non doveva esserci il minimo dubbio che ciò che faceva era eticamente corretto.
Restai spesso affascinato dal suo atteggiamento nei confronti del lavoro, che svolgeva con grande passione eppure considerava con leggerezza, quasi un gioco.
Una volta, in occasione di uno dei nostri incontri, mi raccontò che c’era stato un Sindaco che aveva messo in dubbio la sua correttezza e lui, per tutta risposta, gli propose una quota di partecipazione alla IREM di modo che potesse verificare di persona la gestione aziendale e poter dire la sua nelle sedi decisionali. Per lui il consenso da parte delle persone, anche dei semplici conoscenti, era importante se non fondamentale: se da un lato sapeva di poter contare su una capacità tecnica ed innovativa non comune, che poteva dimostrare in ogni momento, aveva comunque bisogno di sapere che il suo lavoro era capito e condiviso. Teneva molto alla condivisione delle idee come dei risultati. Un leader moderno, direi.
Avendo iniziato la sua vita lavorativa come operaio, nutriva un certo imbarazzo per la posizione raggiunta, come se essere diventato un imprenditore significasse essere in un certo senso passato “dall’altra parte”, come riferiva nei suoi discorsi rievocativi. Per quanto gli fu possibile cercò di estendere il modello Olivetti nell’azienda, portando elementi di socialità, di crescita umana e culturale nella sua IREM. Mario Celso era un uomo con grandi ideali e badava poco alle apparenze. Nonostante fosse nato in un piccolo paese e in una Valle stretta da montagne alte, era attratto dal mondo: sapeva parlare il francese e l’inglese, che aveva studiato da solo, e, in qualità di radioamatore, stabiliva contatti con persone lontane ed spesso organizzava viaggi per poterle incontrare. Curioso e tenace.
Con la famiglia conduceva, da quel che so, una vita all’insegna della sobrietà, tuttavia ricordo una festa molto sfarzosa in un castello e fui stupito, in effetti, per quella circostanza così sfarzosa. Ma Celso era anche questo: voleva celebrare nel migliore dei modi quel risultato con la famiglia e i suoi collaboratori.
Durante i nostri incontri si parlava sempre e solo di lavoro, solo grazie alla moglie si affrontavano argomenti personali per lo più legati alla famiglia. Il conseguimento del Premio Oscar rappresentò per Mario Celso l’apice della realizzazione professionale ma anche la conferma della sua scalata sociale. In quell’occasione era elegantissimo e sorridente: portava con eleganza lo smoking e mostrava modi signorili. Era orgoglioso di quello che era riuscito a fare partendo da una situazione modesta, qual era quella che poteva offrirgli il paese natio e la sua famiglia. Mi stupisco che nessuno a Sant Antonino, o nei paesi limitrofi, abbia mai pensato di dedicargli un monumento in bronzo, non un busto ma una statua in piedi, un riconoscimento pubblico al suo operato.
Torino, 27 febbraio 2014